
Le
proteste di questi giorni* hanno messo alla luce, certamente senza
volerlo, un dato troppo rilevante per non essere preso seriamente in
considerazione: la smodata dipendenza del popolo italiano (e in generale
del mondo occidentale) dal
dio Petrolio.
Questa, per alcuni, non è certo una novità. Per chi ha adottato o sta adottando nella sua vita una filosofia di
decrescita certe cose dovrebbero essere già note.
Ma
la maggioranza degli italiani, purtroppo, è lontana da certe scelte di
vita. E quindi, nel momento in cui si rimane senza benzina, vuoi perchè i
prezzi sono esagerati vuoi perchè i distributori scioperano o vengono
bloccati da proteste, ci si sente persi, si va nel panico, si genera
quella che alcuni media, in questi giorni, stanno definendo come una
vera e propria
psicosi collettiva.
A ciò ovviamente va
aggiunta la dipendenza dai supermercati e dalla grande distribuzione in
generale, che è strettamente correlata al petrolio.
Il
risultato di ciò è che diventa più facile e probabile che il cittadino
medio si interroghi su questa dipendenza. E non può che essere un bene.
Porsi una domanda è senza dubbio il primo passo per cominciare a cercare una risposta.
Di
certo questa risposta non ce la darà il governo, che continua a vedere
la crescita del PIL come panacea per tutti i mali. Ma la storia e
l'ambiente ci dicono che non è così.
Una crescita del PIL non è
per nulla correlata a una crescita del benessere della popolazione nè
tantomeno a un miglioramento delle condizioni ambientali. Anzi, sembra
essere esattamente il contrario, a ben guardare i dati.
Per ora mi limito ad evidenziarne due:
- il
PIL
tiene conto solo di ciò che riguarda il denaro, e quindi qualsiasi cosa
non comporti uno scambio di denaro ma che comunque generi in noi
benessere,
dall'amore alle autoproduzioni, dagli hobbies al
divertimento, dagli scambi di beni agli scambi di affetti, dalla musica
alla natura, dalla lettura di libri al dedicarsi all'arte (e a una lunga
serie di cose infinite che esulano a priori dal concetto di
compravendita ma che rappresentano invece un piacere spesso
irrinunciabile nella nostra vita quotidiana), secondo la
maggioranza delle Nazioni non viene considerata indicativa del benessere
di una popolazione. Lasciatemi dire che tutto questo è semplicemente
assurdo;
- l'attuale sistema economico, saldamente fondato su concetti quali il
profitto (non me lo sto inventando io, è evidente a tutti ed è addirittura presente nel
Trattato di Lisbona, che si può definire la Costituzione europea) e la
competizione,
mette di conseguenza in secondo piano, ai fini della produzione, tra le
altre cose, il rispetto per l'ambiente. E la natura, anno dopo anno, ci
presenta il conto da pagare (alluvioni, uragani, riscaldamento
climatico, ma anche tumori, leucemie ecc...)
E allora come
cambiare in meglio le nostre vite? Come sopperire alla crisi sociale e
ambientale, prima che politica ed economica?
Io non ho
certo la pretesa di fornire la ricetta per uscire dalla crisi, ma alcuni
passaggi salienti che sicuramente possono aiutarci sono senza dubbio i
seguenti:
-
diminuire la nostra dipendenza dal petrolio
(ovvero dai derivati, benzina e plastica in primis, e quindi l'uso
dell'auto, di prodotti chimici, di farmaci industriali, di imballaggi,
contenitori e prodotti confezionati con la plastica ecc.. );
-
favorire le economie locali, le autoproduzioni, le botteghe, le filiere corte, la spesa a km 0 e di conseguenza boicottare la grande distribuzione;
-
spegnere la televisione
(è il principale mezzo di disinformazione oggi esistente, con le sue
falsificazioni e omissioni, e con la sua straordinaria capacità di
penetrare il nostro inconscio e farcirlo di bisogni indotti e superflui,
oltre a toglierci tempo prezioso per dedicarci al benessere primario di
cui sopra);
-
riappropriarci degli spazi pubblici in maniera costruttiva
(si potrebbero fare tantissimi esempi, mi limito ad evidenziarne uno su
tutti: la piazza, ovviamente intesa come luogo di incontro e di
dialogo, di confronto e di unione). Negli ultimi decenni si è assistito
man mano a una riduzione degli spazi pubblici, tramite scelte
urbanistiche più o meno scellerate e indicative della paura che le
istituzioni hanno nei confronti della socialità. Non sono il primo a
dirlo, sono stati fatti molti studi su questo;
-
diminuire o meglio ancora eliminare il consumo di carne (ci sono vantaggi economici e salutari, oltre che ambientali e, per chi volesse, etici);
- diminuire la nostra dipendenza dalle tecnologie e dalle mode (ci sono più o meno gli stessi vantaggi che ho elencato per la carne);
-
diminuire la nostra dipendenza dalle banche, cercando di possedere il più possibile denaro in forma contante;
-
optare là dove possibile per l'autocostruzione e/o per la bioedilizia;
-
considerare seriamente le possibilità energetiche alternative (solare, eolico, geotermico, biomasse a km 0);
-
fare il possibile per ridurre la nostra dipendenza dal lavoro,
ovvero impostare la propria vita per un lavoro che sia per noi stessi,
senza gerarchie alle quali sottostare, senza vincoli e imposizioni di
orari e/o modalità e/o produttività, ai fini dell'autosufficienza
personale, familiare e/o comunitaria, oppure applicando se possibile il
criterio del
downshifting per ridurre le ore lavorative
e avere più tempo per il benessere di cui sopra, oppure privilegiando
lavori etici e non deleteri per noi e per l'ambiente in cui viviamo;
-
compiere, last but not least,
una scelta di vita rurale, lontana dalle zone urbanizzate, in modo da facilitare e stimolare l'applicazione di tutti i punti precedentemente elencati.
Rimanendo
coi piedi per terra, mi accorgo che ovviamente non tutti hanno
effettivamente la possibilità di applicare tutti i punti suddetti, ma
qualcuno sicuramente può farlo, mentre qualcun altro ne può applicare
solo alcuni, ma potrà comunque
tendere agli altri punti o sicuramente cominciare a pensare di farlo.
Perchè
da qualche parte bisogna pur cominciare, altrimenti è perfettamente
inutile continuare a lamentarsi con entità lontane, mentalmente e
fisicamente, da noi, come spesso hanno dimostrato essere le istituzioni
in Italia.
Se c'è qualcuno dal quale sperare di ottenere qualcosa
lamentandosi, quel qualcuno siamo noi stessi, ed è quindi in noi stessi
che dobbiamo cercare le risposte, nelle nostre scelte, nelle nostre
abitudini, nel nostro modo di vivere e pensare.
Concludo
dicendo che l'applicazione di molti dei punti elencati, per molti di
voi, potrà sembrare inizialmente una sofferenza, ma d'altronde se state
leggendo questa nota vuol dire che qualcosa di sofferente in voi già
esiste allo stato attuale, e se finora non avete visto miglioramenti
tanto vale cambiar strada. O no?
Vi chiedo di condividere questa nota il più possibile. Grazie.
*Ci
tengo a precisare che io non condivido assolutamente le modalità della
protesta che in questi giorni sta paralizzando la nostra penisola, per
una serie di motivi che non starò qui ad elencare.
Ma, alla luce delle conseguenze che essa sta comportando, mi premeva dire la mia a riguardo.